25.6.07

Parole che curano ne "La vita segreta delle parole"

[pellicole -17]
La vita segreta delle parole” è un film del 2005 della regista spagnola Isabel Coixet.
Essendo portatore di handicap, questo film lo sento molto vicino, perché tratta fra l’altro anche del tema del disagio relativo alla perdita di abilità psicofisiche.
Le vicende narrano di un viaggio nell'anima di due persone entrambe sconvolte dalla loro esistenza: Hanna, ragazza sopravvissuta agli stupri etnici dell’ex – Jugoslavia, viene assunta dal responsabile di una piattaforma petrolifera in via di smantellamento e qui conosce Joseph, ustionato a causa di un incidente. Hanna vive sola, non parla con nessuno ed è maniacale nelle cose che fa. Le sue giornate sono ossessive, suddivise fra la casa silente e la fabbrica tessile in cui lavora e il suo capo ritiene che lei debba fare un mese di vacanza per ritornare a sorridere. Hanna trascorre questo periodo su una piattaforma petrolifera, dove accudisce Joseph, temporaneamente cieco per le ustioni procuratesi in un incidente. I due si immergono nel dolore dei loro ricordi per liberare paure scolpite negli occhi. Dunque l taciturna immigrata Hanna, operaia in una fabbrica di filati sintetici dell'Ulster, accetta durante le ferie obbligatorie un incarico a tempo come infermiera. Il suo paziente è Joseph, un tecnico rimasto gravemente ustionato durante un incidente avvenuto su una piattaforma petrolifera al largo della costa, e che lì deve rimanere degente finché non migliora abbastanza da divenire trasportabile. Sulla piattaforma, semi - deserta perché ferma in attesa dell'inchiesta, Hanna conosce il creativo cuoco sudamericano Simon, il vecchio capocantiere rassegnato ad una nuova destinazione e l'utopico oceanografo Dimitri. Ma soprattutto, abbasserà pian piano la guardia della diffidenza verso l'oggetto delle sue cure, Joseph, che da invalido logorroico e indiscreto si rivelerà uomo semplice e intuitivo, in grado di decifrare, dal suo stato di cecità provvisoria, l'anima raggelata e offesa di una ragazza sorda ai propri ricordi. Film scarno e minimalista, voce per quelle parole che vagano silenti dentro di noi senza che si trovi mai il coraggio di pronunciarle: pensieri inespressi, che per un tempo infinito pesano come macigni, lasciando però al contempo un vuoto inspiegabile. Film sul dolore e sul peso del passato che ognuno porta con sé attraverso il tempo, le proprie esperienze, che a volte diventa minaccioso ed incombente sul nostro presente impedendoci di guardare invece al futuro. Parole che curano quando sono vere, frutto di un amore autentico e profondo che nasce dal desiderio di rispettare chi si ha di fronte e di conoscerlo veramente per ciò che è. Anche se è molto difficile cancellare la propria sofferenza, ciò che è stato, si ha l’opportunità di lenire un ineluttabile senso di colpa che marchia, come fuoco vivo sulla pelle, chi è vittima di atroci barbarie.
"La vita segreta delle parole" è un film su come sopravvivere al passato, come superarlo e come condividerlo con il presente, sul dolore fatto del silenzio di chi sceglie di non sentire perché ha sentito e visto troppo. La scelta di custodire un dolore, di chiudersi alla vita per restare in vita, quasi di banalizzarla riducendola a schematismi, alla dura ritualità di un tempo scandito da pochi atti sempre uguali, una vita - nenia ripetuta come una cantilena, quanto più rassicurante del gettarsi a capofitto nel mare, nelle onde dell'esistenza. Questo film è una discesa nell’inferno di due persone disperate che legano le loro anime, le loro sofferenze, le loro vite desolate in un "non luogo" come è quello di una piattaforma petrolifera nel mare del nord. Tra di loro crescerà una strana intimità, un vincolo dal quale non usciranno indenni e che cambierà le loro vite per sempre. Le parole sono quelle non dette fino a quando l'atmosfera attorno ai protagonisti del film finisce per infrangere barriere che tenevano nascosto il passato, lasciandosi così, come aferma Joseph, anche la possibilità di “piangere talmente tanto che le lacrime diventino un mare in cui tutti finirebbero per annegare”.
by Mariano Lizzadro

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18.6.07

Visioni ...ne "I Vesuviani"

[pellicole -16]
Un po’ di tempo fa vidi un film che mi colpì molto. Non volevo scrivere niente su questa visione, infatti mi limitai a segnalarne il titolo ad alcuni amici (Pietro Sacco, Luigi Catalani, Mauro Savino e Maria Pina Ciancio). Ma poi si sa che le cose che vanno giù, oserei dire per inerzia, tornano a galla reclamando vita in superficie.
Ed eccomi qua con "I Vesuviani" film visionario, ironico e grottesco dell’ 1997, suddiviso in cinque episodi, diretto da altrettanti cineasti. Questi cinque episodi, cinque corpi che formano il film sono ambientati nella periferia di Napoli, nell’entroterra campano e sono: “La stirpe di Iana” di Pappi Corsicato, “Maruzzella” di Antonietta De Lillo, “Sofialorén” di Antonio Capuano, “Il diavolo nella bottiglia” di Stefano Incerti e “La salita” di Mario Martone. Lavoro collettivo quindi, “I Vesuviani”, che riunisce cinque registi diversi fra loro ed al tempo stesso legati dalle comuni origini.

Ad aprire il film è “La Stirpe di Iana” di Pappi Corsicato che ci mostra cinque motocicliste, moderne seguaci del culto della dea Diana, che seminano terrore lungo le strade della provincia napoletana, dimostrando la loro supremazia sugli uomini e trasformandosi all'occorrenza, come per magia, in temibili guerriere volanti. In mezzo a fumi colorati, in un'atmosfera sospesa tra il fiabesco hollywoodiano e le sue parodie porno, viene narrato del proliferare della stirpe di Iana, popolarizzazione del culto di Diana. Il resto dell'episodio si sviluppa liberamente con la stessa leggerezza che le "ianare" dimostrano nella loro rissa volante, il tutto su sfondi acidi e in una geografia napoletana dello spazio e dello spaesamento che anche negli altri episodi impone la scelta di punti di vista marginali e privilegiati sui non luoghi metropolitani. Le ragazze de “La stirpe di Iana” sono amazzoni in motocicletta, ragazze dal pugno facile, dee che volano acrobaticamente sulla spiaggia sotto il Vesuvio. Il culto della dea Diana non è morto e spazza via la camorra a colpi di corpi. Non si sono ancora dissolti i fumi, che un'altra sorpresa si porge ai nostri occhi, con la voce e il corpo di Maruzzella, protagonista di una storia carica di nostalgia all'interno di un cinema porno, insomma la storia di un "travestito", di Antonietta De Lillo. Dunque una storia ambientata nella sala buia di un cinema a luci rosse, dominata dal travestito Maruzzella in grado di fare pratiche sessuali misteriose, alchimie culinarie più che altro ed ombre cinesi che trasmettono l’estasi. Centro d’attrazione del locale, Maruzzella, disillusa dall’amore incontra una strana spettatrice che piange alla vista delle pratiche porno più basse.
E la scena hard si trasforma in una carta di cioccolatini lucente e una spiaggia dove Maruzzella e la spettatrice danno un finale coi fiori d’arancio alla celebre frase di Billy Wilder “nessuno è perfetto”. Il finale fiabesco inganna ma subito si ricollega alle "mascherate" di Maruzzella, lontano mille miglia dal riconciliarsi e piuttosto dirottato verso una vita in cui possa riconquistare quei piaceri che generosamente elargiva nel retro del cinema. L'episodio di Capuano “Sofialorèn” si tuffa a pesce nel fiabesco, strizzando l’occhio a maestri come Totò e Pasolini, ma forse anche alle colorate fiabe hollywoodiane di metà secolo con leggerezza poetica, velocità di pensiero e allo stesso tempo profondità passionale, come nell'intenso incontro fra il protagonista un abitante abusivo e recidivo delle aree bradisismiche di Pozzuoli e un ladruncolo dall’aspetto tipicamente "Pasoliniano". Oppure nel travolgente inseguimento del principe, una figura burattinesca di moro, chiaro omaggio a Totò o come nella tenera storia della principessa africana - polipo, tenuta amorevolmente in una tinozza dal pescatore di Pozzuoli. Infatti “Sofialorèn” è il nome che il pescatore che abita nel rione di Pozzuoli, in una casupola giudicata più volte non agibile, dà al suo bel pesce conservato in una vaschetta di vetro. “Il diavolo nella bottiglia” di Incerti è incentrato sul rapporto uomo - diavolo. Fausto, e già il nome la dice tutta, è un barbone che entra in possesso di una diabolica bottiglietta grazie alla quale potrà esaudire tre desideri, con una sola precauzione: per evitare tremende disgrazie ci si deve sbarazzare della bottiglia vendendola ad un prezzo inferiore a quello di acquisto.
E’ la bottiglia misteriosa a dare l’opportunità al barbone “vesuviano” di riscattarsi dalla miseria. Il diavolo meglio del sindaco? “Ma voi non sapete quanti problemi devo affrontare “si lamenta, appunto, il sindaco, nell’episodio di Martone, mentre sale faticosamente le pendici del vulcano. Un finale pungente, amaro, ma affettuoso: “La salita”, nello stile di Martone, che allunga la sua memoria cinematografica da Pasolini a Rossellini. Incontri fantasma del primo cittadino oppresso da una città che implode. I morti di Secondigliano fanno capolino da un dirupo e il sindaco promette che farà di tutto per tirarli fuori, il cantante popolare cooptato dagli intellettuali di sinistra, che implora il sindaco di firmare una delibera per l’annullamento dei concerti, un libro raccolto tra la polvere: “Stato e rivoluzione” di Lenin, una prostituta malinconica, l’attrice popolare dell’avanguardia tornata dall’America. E lo spettro in abito di Francesca Spada che si suicidò, dopo essere stata oggetto di lapidazione politica dall’apparato del P.C.I, in quanto moglie di un funzionario dissidente.
Così finisce “I vesuviani”, con un sindaco che deve rispondere a un oceano di voci di protesta, accusato di dare retta ai media, ma che almeno sa ascoltare. Martone, ne “La salita”, ha scelto il sindaco di Napoli come esempio dell'ex comunista divenuto governante, un amaro dispensatore di promesse difficili da mantenere, assediato dal passato ideologico e dal doloroso senso di colpa che nasce dal ripudiarlo ogni giorno, logorato e spaventato dalle proprie impotenze. Martone, che affronta di petto la nuova realtà politica napoletana e accompagna il sindaco (il riferimento è proprio ad Antonio Bassolino!) in una surreale passeggiata lungo l'impervio crinale del Vesuvio. C'è spazio per vari personaggi di simbolica napoletaneità e situazioni emblematiche come quella del cantiere di lavoratori minorenni (sempre troppo lontano per potervi intervenire), ma l'incontro più significativo è quello con il corvo pasoliniano di Uccellacci e uccellini.
Fra le righe si potrebbe intravedere anche un omaggio al mito e alla storia non solo di Napoli: Pappi Corsicato parla delle Amazzoni, Antonietta De Lillo tratteggia il mito dell’ermafrodito, Antonio Capuano fa rivivere l'avventura di Ulisse che si lascia incantare dalle sirene, Stefano Incerti ripropone il mito di Faust, mentre Mario Martone segue le vicende legate al potere umano. Ma tutto sommato mi sembra che questi riferimenti non siano del tutto fondamentali, rispetto al fatto che cinque registi napoletani quasi tutti giovani si siano uniti per raccontare la loro città attraverso fiabe, sogni, immaginazioni fantasiose. Visioni reali … visioni vesuviane!
by Mariano Lizzadro

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1.6.07

"Centochiodi", più di un film

[pellicole -15]
“Il mangiatore di film è spaventosamente romantico, irrimediabilmente portato cioè a capire la realtà. Quel che egli cerca nel buio non è la fuga da quest’ultima, ma la sua stessa essenza, qualche volta così concentrata da essere insostenibile come un veleno. Ha capito il mondo così come, per capire un pezzo di pane, non lo si pensa, ma lo si mangia”. (Enzo Ungari)
Un professore entra in una biblioteca universitaria prende i libri riposti negli scaffali e li inchioda.
Dopo fuggirà gettando i suoi documenti in un fiume, alla ricerca di un nuovo percorso di vita. O di resurrezione.
Ermanno Olmi ha realizzato un film che parla di filosofia, cita Schopenauer “Le religioni non hanno mai salvato il mondo”, attualizza Dostoevskij, lasciando trasparire metafilmicamente ciò che aveva scritto nel 1854 alla Fonzivina : “Arrivo a dire che se qualcuno mi dimostrasse che Cristo è fuori dalla verità e se fosse effettivamente vero che la verità non è in Cristo, ebbene io preferirei restare con Cristo piuttosto che con la verità”.
I libri, simbolo di religione rivelata e non esemplarmente vissuta, reinterpretata nei secoli ad uso e consumo di religioni, sette, pensatori, santoni al servizio del potere o di se stessi, vengono inchiodati perchè inutili, non hanno aiutato la Comunità nella sua comunione di intenti, hanno inculcato false certezze sotto forma di verità assoluta e non hanno favorito il dialogo.
E’ necessario fuggire, cambiare identità, diventare apostolo e perchè no, novello Cristo, approdare nei pressi di un paesello circondarsi di persone che desiderano ascoltare un professore che riesce ancora a raccontare parabole, affabulare una giovane panettiera che potrebbe essere iconograficamente una Maria Maddalena o una Samaritana, e poi?
Tradirsi con la complicità di una carta di credito risparmiata alla distruzione e farsi arrestare per poter gridare i propri dubbi.
Quando il professore sarà rilasciato, sarà atteso invano al paesello, anche se qualcuno dirà di averlo visto camminare sulle acque.
Centochiodi non è soltanto un film, è soprattutto una riflessione sulla difficoltà di credere ed al tempo stesso pensare, sull’ impossibilità di interiorizzare il dubbio, sul tempo perso a leggere di cose che ci hanno reso avulsi alla realtà.
E’ paradossalmente un film che pur non volendo esserlo, è politico, avendo una forte impronta autoriale. Nel suggestionarci, suggerisce. Forte è la presenza della natura e quando i suoni sembrano scaturire da stati d’animo legati ad un ballo o ad una gita al mare, non è casuale che si possa anche udire una vecchia canzone intitolata “Non ti scordar di me”.
E’ una digressione poetica, testimoniale, autentica. Un’invocazione per il futuro.
Se ci sarà.
Oreste- Mi trovo forse alla presenza regale di Elettra?
Elettra- Non regale, ma assai misera, invece. Perchè straniero mi guardi così e mi compiangi?
Oreste- Vedendo su di te i segni di molti patimenti.
Elettra- Tu sei l’unico che finalmente ha compassione di me.
Oreste- L’unico, infatti, che ti avvicina soffrendo i tuoi dolori come suoi.
(Sofocle, “Elettra”)
by Antonio Savella

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