17.6.09

Migratorie non sono le vie degli uccelli di Fernanda Ferraresso

[Letteratura -10]
Mi faccio prossima a un battito leggero
un movimento della terra F.F.

C’è dentro i versi di questa raccolta di Fernanda Ferraresso il pulsare vivido della corporeità. Il verso che respira (Respiro. Silenzio. Respiro.) con lo stesso ritmo del corpo; la parola un otre gravido di accordi, luci e semi che germogliano e si espandono d’intorno, lasciando essenze, aromi e nettare nell’aria “ il mio corpo è un pianeta di falesie / e picchiare di uccelli che in me vorrebbero tracciare un nodo di voli” (p.82).
Il linguaggio è interiore e viscerale, permeato di una sensualità lieve, da cui il lettore viene travolto, in un procedere che è “incontro”, “congiungimento”, ricerca oltre la soglia del dicibile.

Sono qui distesa.... muta.... ad ascoltarti.... e nuda. (p.85)

E’ il fascino della scrittura visionaria e onirica, che nella sua intima inafferrabilità acquisisce un aspetto lieve e prossimo al sacro.
L’io lirico è al centro della raccolta, in continua tensione verso l’altro. Un corpo (un sé) che si completa e si eleva nell’attraversamento e nel congiungimento-fusione (anche quando l’altro è assenza o mancanza, anche nella metabolizzazione del lutto)

Quando mi baci
amore rovesciami dentro la notte
con una scodella di latte (p.19)
*
Per ascoltarti mi dispongo in un nudo silenzio
terra io stessa e piana innanzi a te” (p.85)

Frequente è l’uso di riuscitissime metafore, similitudini, analogie, sperimentazioni lessicali che dilatano e ampliano il verso, sgravano il vortice della ricerca, così come i rimandi evocativi (tanti) uterini, ombelicali, riconosciuti come “gli anelli di una spina/ vertebra candida e sonora/ che finalmente mi regge” (p.28).
Un libro da ascoltare più che da leggere, a cui affidarsi e da cui lasciarsi condurre, perché le maglie che lo tessono “tramanti”, “perimetrali”, “migratorie”, sono filigrane riconoscibili, condivisibili e dell’appartenenza.

Fernanda Ferraresso, Migratorie non sono le vie degli uccelli, Il ponte del sale 2009

Riferimento sul web: http://fernirosso.wordpress.com/


by Maria Pina Ciancio

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16.6.09

Gian Ruggero Manzoni intervistato da Elisa Ravaglia

[Letteratura -11]
Intervista inedita a cura di Elisa Ravaglia (giugno 2009)

Elisa Ravagli: che cosa pensi del binomio "Scrittura creativa"? e dei corsi di scrittura creativa in genere?

GRM: Sinceramente non ho mai creduto ai cosiddetti corsi di “Scrittura Creativa” visto che sono da sempre dell’idea che si nasca artisti e non lo si possa diventare. Al massimo si potrà raffinare lo stile, ci si potrà rapportare-confrontare con altri artisti o con addetti ai lavori, bravi, per ragionare su quello che si sta facendo, ma temo sia impossibile divenire artista se già la natura non ti ha concesso il dono. E’ come andare in Seminario se già di tuo non hai la fede, cioè una tua visione di Dio, quell’amore. Là studierai teologia e ti confronterai con altri che credono in quel che credi, ma, e lo ripeto, la fede e il votarsi a una missione di vita devono già essere tuoi. Tutto ciò che implica una sorta di ‘mistica’, così io vedo l’arte, scatta a priori del sapere, visto che è un sentire… un sentire diverso dagli altri. Detto ciò, il binomio Scrittura Creativa è una contraddizioni in termini. Al limite si potrebbe coniare: “Corsi per scrivere con padronanza dello strumento” oppure “Corsi per scoprire se sono uno scrittore o un fantino”, ma di creatività, in detti incontri, ne vedo ben poca. Forse se pratichi un genere, cioè il giallo, la fantascienza o che altro, puoi anche scrivere con solo il mestiere quale ausilio, ma l’Arte è a prescindere dal mestiere e dall’artigianato che poi ti aiutano a renderla in libro, in tela, in cinema, in concerto etc. Come puoi insegnare un quid di questo tipo? E’ come se Gesù fosse andata a scuola per rapportarsi con l’Assoluto e, soprattutto, per dirsi Dio… e mi si perdoni l’azzardo, ma rende. Sono romantico ed elitario in questo? Sì, e ne sono felice.

ER: si può insegnare a scrivere ? se sì come? il talento si allena oppure se ce l'ha bene se non ce l'hai amen?


GRM: Ho già detto nella prima domanda, ma dirò ancora. Scriveva Wilde: “L’Arte appartiene a coloro che la sanno distinguere in sé dalla prima gioventù”, concetto, espresso in altra accezione, anche da Rimbaud e da tanti ‘grandi’, definiamoli così. Certo che si può insegnare a scrivere; obbligatoriamente lo Stato italiano ora cerca di accompagnarti in questo fino ai sedici anni, e così s’impara a fare di conto, si conoscono quali sono i fiumi che sboccano nell’Oceano Atlantico o, in Storia, cosa significa una data come il 1789, ma fine lì. Il talento è altro e non ha nulla a che fare col sapere, infatti significa il viaggiare in una dimensione dell’essere che non è di tutti, quindi è materia che non potrà mai venire insegnata a scuola. In vita potrai incontrare altri tuoi simili, a viso o tramite la lettura delle loro opere, ma mai, anche un tuo simile, potrà insegnarti chi sei e, tanto meno, quello che sarai in arte. Comunque, se dovessi consigliare a un giovane dove andare a raffinare il dono che già ha in sé, gli direi di iscriversi a un “corso” tenuto da uno scrittore di valore… ma sono pochi gli scrittori o i poeti di valore che insegnano il come poter scrivere, nel modo più congeniale, al giovane talento che hanno davanti, perché, di solito, gli scrittori e i poeti di valore non credono a questi corsi di “taglio e cuci” o di “giardinaggio”. Come succede nel mondo anglosassone, visto che la richiesta pare ci sia, necessiterebbe che tali “corsi” si tenessero all’interno degli atenei, quindi che addivenissero a programma gratuito di studio per chi vuole partecipare, al fine, come ho detto sopra, di aiutare oppure scoprire il talento qualora ci sia, per il resto, fuori dalle università, di solito si trasformano in “corsi d’intrattenimento” per passare un paio d’ore assieme leggendo all’insegnante, o pseudo tale, e leggendo ad altri che ‘aspirano’ all’Olimpo, i propri ‘birignao’ oppure, per chi li tiene, cioè per l’insegnante, o pseudo tale, per dirsi un qualcuno o per spillare soldi agli sprovveduti o a quei deliranti, e ce ne sono a milioni in Italia, che credono di essere artisti perché mettono una parola dietro l’altra. Sarebbe molto meglio che tali deliranti andassero da un bravo psicoanalista, forse ne guadagneremmo tutti, soprattutto ci risparmieremmo la marea di materiali inesistenti che giungono alle riviste o alle case editrici in questa follia dilagante del voler essere ‘creativo’ (poeta, narratore, sceneggiatore etc.) a tutti i costi.

ER: si scrive senza pensare? come scrive gian ruggero manzoni? è vero che la cosa più urgente che hai da dire è quella che esce subito?

GRM: A volte si scrive senza pensare, cioè sotto dettatura degli altri te che volano in dimensioni che non sono il reale, o, almeno, quello che definiamo come tale, oppure pensando, cioè con un progetto ben definito già in mente, o, almeno, con l’ossatura di quel progetto già chiara; in questo, quindi, non esiste ricetta e, proprio per questo, è impossibile insegnare il come, il dove e il quando scrivere. Come si può insegnare la magia? … la magia, e non l’illusionismo, intendiamoci bene, e cominciamo a dare il giusto significato alle parole. Per quel che mi riguarda scrivo come uno sciamano che getta le ossa per interpretare il futuro. Sì, io scrivo così… e posso dirlo dopo oltre trent’anni di scrittura. Poi rivedo. Ma il gesto del lanciare le ossa sulla sabbia va di suo, una volta inteso quale sia il tuo compito e scoperto il dono che hai. Del resto è talmente privato l’atto del creare che per me risulterebbe impossibile praticarlo in comunità. Al massimo accetto chi mi sta di fronte, uno per volta, e mi domanda d’interrogare le ossa anche per lui o lei, ma ciò avviene talmente di rado che lo si fa, solo, quando incontri un tuo simile. Ma i tuoi simili sono a tal punto sparsi sul pianeta che se ne incontri cinque in una vita puoi considerarti fortunato. Già cinque condivisioni di tale magia sono un record, un lusso, che pochi hanno avuto. Riguardo l’urgenza rispondo: no. Non è la ‘cosa’ più urgente quella che viene fuori quando scrivi, ma tutt’altro, è quella che hai nel profondo, e che spesso neppure conosci. In questo lo stupore del fare arte. Se scrivi l’urgenza di solito scrivi la “malattia di vita” che in te alberga, e ciò non è arte, è sfogo, è diario, è cronaca superficiale. Anche in questo caso meglio andare dallo psicanalista o, ancora meglio, dallo psichiatra.

ER: come fai a capire se quello che leggi porta dentro il talento? mi fai degli esempi e me li motivi?

GRM: Non posso motivarti un bel niente. O senti o non senti. Dopo aver letto le prime dieci righe di un romanzo comprendo subito se viaggia o non viaggia, così mi succede con la poesia o entrando in una galleria d’arte… colgo subito le opere che funzionano, che sono di valore, anche se hanno una matrice concettuale all’ennesima potenza; le senti, poi ti soffermi a pensare, le analizzi, ma è la prima sensazione quella che conta. Quando ti imbatti nel talento lo avverti subito. La prima volta che incontrai un’opera di Burri vidi l’aura che emanava, e la stessa aura la vidi attorno a lui quando lo conobbi di persona; ciò non mi è successo, ad esempio, quando ho incontrato Umberto Eco, già mio prof al Dams, infatti Eco, pur bravissimo nel suo mestiere, non è un artista, non è un mago, ma è un’intellettuale prestato alla narrativa, e la differenza esiste, così come novecentonovantanove individui che scrivono poesie su mille sono intellettuali, figli della scuola dell’obbligo, che si cimentano in poesia, solo quell’uno che resta è un poeta vero. I libri dei grandi scrittori emanano anch’essi luce, oppure tenebra profonda, che pure è un’altra aura, ma emanano. Se sei a tua volta la cogli subito, se non sei: ciao. Ecco perché, in Italia, saranno venti i grandi; i restanti, me compreso, appartengono a sottolegioni di angeli o demoni… seppure anche così sia un privilegio non da poco, considerati i tanti che neppure riescono a volare come una gallina.

ER: domanda per un uomo anche di teatro: in che relazione stanno corpo e scrittura?

GRM:Totale. A vent’anni scrissi il Manifesto del Visceralismo… con questo reputo di averti risposto.

ER: hai un maestro? scrittura-maestro-allievo che significato ha per te questa triade di parole?

Ne ho avuti a suo tempo, quando leggevo molto, tutti morti, però. Pochissimi nati nel ’900, in particolare in Italia, come poi nei secoli precedenti. Comunque è l’uomo il mio maestro. Sono gli uomini che mi hanno insegnato a raffinare il talento, lo studiarli, il cercare di non essere come la maggior parte di loro. Ad esempio posso dire che Junger o Testori son stati fra i miei maestri, ma Junger o Testori, in primo luogo, mi hanno insegnato a essere Uomo con la U maiuscola, non scrittore o poeta o pittore o drammaturgo. I maestri t’insegnano a scoprire in te come essere uomo, possono porsi come esempi di ribellione, di coerenza cultural-esistenziale, di ‘diversità’, possono dimostrarti che l’onestà intellettuale esiste ancora ed è esistita, ma il lavoro grosso sei sempre tu a doverlo fare su te stesso. Infine sei tu che ti dai il Codice nonché il Metodo, e in ciò dimora l’originalità dello Stile, cioè quello che ti contraddistingue e ti eleva… facendoti, appunto, volare.

ER: Sscrittura empatica o simpatica? mi fai degli esempi?

GRM: Se “simpatico” sta come “inchiostro (appunto) simpatico”, cioè che non puoi leggere quel che è scritto se non possiedi il segreto del come farlo apparire, beh, allora e senza dubbio, da buon esoterico, amo la seconda. Comunque, a parte la ‘buttata’, che poi buttata, per me, non è, necessita specificare. Una scrittura è Empatica quando si provano i sentimenti dell’altro, oppure li si avvertono, li si comprendono, così come si colgono i tempi, le tendenze dominanti, perché parte di te, perciò, tale modo di affrontare lo scrivere, lo si può anche adattare; ma in detta accezione il rischio diventa lo scrivere per compiacere, per dirsi consapevoli e ricercare l’applauso, il successo, magari il denaro; una scrittura è invece Simpatica quando si tenta, con essa, di dare delle risposte a chi, ad esempio, sta male, è pressato dal proprio Sé, e si ha volontà di aiutarlo, sviscerando il problema che lo angoscia, senza essere soggetto, a propria volta, di tale condizione, ma anche in questo caso si può barare; se invece una scrittura è Empatica e Simpatica, allo stesso tempo, il tutto, a mio avviso, può diventare più interessante perché, oltre a cogliere lo stato d’animo dell’altro o degli altri e a sentirsi uniti a lui-loro si cerca, anche, di trovare soluzioni d’insieme. Resta il fatto che tutto può risolversi in un’illusione, in un teatro, in cui autore-attore e spettatori, infine, peccano dello stesso male, cioè: il bisogno. Tirandomi fuori da questo vortice, io sono per una scrittura (libera e singolare) che risponda solo al mio bisogno personale, senza, perciò, tendere trappole oppure senza fare l’infermiere di turno; quindi una scrittura che renda piacere in primo luogo a me stesso, che emozioni me stesso, tramite cui racconto (sempre a me stesso) quel che mi fa vibrare o che m’interessa sviscerare, senza pormi alcuna domanda riguardo all’altro da me; poi, se il narrato, potrà far godere anche altri, bene, altrimenti ciao, ognuno per la propria strada, visto che il problema, almeno per come io vivo l’arte oggi, non sussiste. Sono da sempre un “cane sciolto” e reputo che, a cinquantadue anni, lo resterò fino alla morte. Esempi? La maggior parte della narrativa che ora viene proposta è empaticamente malandrina e simpaticamente inconcludente; malandrina quando cerca consenso, inconcludente quando nulla cambia, cioè non “guarisce”, non somministra una “cura”. Resta una quinta ipotesi (dopo l’empatia, la simpatia, l’empa-simpatia e il piacere personale)… la scrittura che cerca di ‘indottrinare-condizionare’, riuscendoci; ma non vedo Titani di tale calibro in giro; non vedo per ora ‘maghi’ con tale potere… e me ne dispiace alquanto. Accontentiamoci, perciò, di una qualche emozione, colta qua e là, da questo o quell’autore, e continuiamo a scriverci i libri che ci piacerebbe leggere, spaziando come e dove meglio ci pare.

(recensione a cura dell'Associazione LucaniArt ONLUS)

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15.6.09

Preghiere di una poetessa di Antonietta Gnerre

[Letteratura -9]
in “Lo spirito della poesia”, Fara Editore 2008 (pp 79-94)

I versi di questa raccolta di Antonietta Gnerre, colpiscono per la levità e la delicatezza con cui si dispongono e si affacciano sulla soglia, facendosi segno, preghiera e dono: parola testimonianza “povera e nuda di fronte al mistero”.
L’esperienza di scrittura della poetessa campana, si dipana dentro quel filone storico-letterario della buona poesia mistico-religiosa, che da San Francesco e Jacopone Da Todi, giunge attraverso Davide Maria Turoldo fino ai giorni nostri.
Nei versi di questa silloge (contenuta nel volume “Lo spirito della poesia”), si manifesta la ricerca del giusto, di una verità che non risiede nelle leggi dell’uomo e del mondo,


“noi viandanti
fatti di paglia e di sfere travagliate” (p.83)

“viviamo in case abbandonate dalle colombe
macerate dalla storia senza sorrisi
di questo vuoto religioso” (p.81)

c’è piuttosto la consapevolezza del disagio esistenziale, delle difficoltà della vita, delle grandi e piccole catastrofi, che attraversano il pianeta. Non rifiuto del mondo, dunque, ma accettazione, partecipazione e attraversamento.
Un attraversamento che si fa speranza e rivelazione.

“camminavo col cuore in tumulto
nessun miraggio di palme

per ogni sorta di male sono passata” (p.89)

Ciò che colpisce è l’umiltà del dire “prego/ su ciò che posso sopportare (p.83), “le mie preghiere sono piccole/ navi che viaggiano” (p. 86) e la capacità (che è bellezza e forza) di riconoscere e di affidarsi a una dimensione altra, quella di un Dio creatore: luce, fiato e “limpida voce che suona le corde del cuore”.
Si potrebbero definire questi versi delle vere e proprie laudi, cioè delle lodi al creato e al creatore (che nell’ultima sezione si elevano, in forma di piccoli haiku alla Vergine), in cui l’ascesi si manifesta nell’abbandono a Dio e alla sua benevola carità cristiana.
Concludo questa nota, senza dimenticare di sottolineare il pregio e il valore di questi versi dal punto di vista stilistico e letterario, per un uso particolareggiato della metafora, che con il suo potere evocativo, suggerisce relazioni e richiami fortissimi, che rimandano a quel Mistero inafferrabile che sostiene tutta l’opera (poesia-preghiera) della Gnerre.
(antologia a cura di Alessandro Ramberti)

by Maria Pina Ciancio

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