18.6.07

Visioni ...ne "I Vesuviani"

[pellicole -16]
Un po’ di tempo fa vidi un film che mi colpì molto. Non volevo scrivere niente su questa visione, infatti mi limitai a segnalarne il titolo ad alcuni amici (Pietro Sacco, Luigi Catalani, Mauro Savino e Maria Pina Ciancio). Ma poi si sa che le cose che vanno giù, oserei dire per inerzia, tornano a galla reclamando vita in superficie.
Ed eccomi qua con "I Vesuviani" film visionario, ironico e grottesco dell’ 1997, suddiviso in cinque episodi, diretto da altrettanti cineasti. Questi cinque episodi, cinque corpi che formano il film sono ambientati nella periferia di Napoli, nell’entroterra campano e sono: “La stirpe di Iana” di Pappi Corsicato, “Maruzzella” di Antonietta De Lillo, “Sofialorén” di Antonio Capuano, “Il diavolo nella bottiglia” di Stefano Incerti e “La salita” di Mario Martone. Lavoro collettivo quindi, “I Vesuviani”, che riunisce cinque registi diversi fra loro ed al tempo stesso legati dalle comuni origini.

Ad aprire il film è “La Stirpe di Iana” di Pappi Corsicato che ci mostra cinque motocicliste, moderne seguaci del culto della dea Diana, che seminano terrore lungo le strade della provincia napoletana, dimostrando la loro supremazia sugli uomini e trasformandosi all'occorrenza, come per magia, in temibili guerriere volanti. In mezzo a fumi colorati, in un'atmosfera sospesa tra il fiabesco hollywoodiano e le sue parodie porno, viene narrato del proliferare della stirpe di Iana, popolarizzazione del culto di Diana. Il resto dell'episodio si sviluppa liberamente con la stessa leggerezza che le "ianare" dimostrano nella loro rissa volante, il tutto su sfondi acidi e in una geografia napoletana dello spazio e dello spaesamento che anche negli altri episodi impone la scelta di punti di vista marginali e privilegiati sui non luoghi metropolitani. Le ragazze de “La stirpe di Iana” sono amazzoni in motocicletta, ragazze dal pugno facile, dee che volano acrobaticamente sulla spiaggia sotto il Vesuvio. Il culto della dea Diana non è morto e spazza via la camorra a colpi di corpi. Non si sono ancora dissolti i fumi, che un'altra sorpresa si porge ai nostri occhi, con la voce e il corpo di Maruzzella, protagonista di una storia carica di nostalgia all'interno di un cinema porno, insomma la storia di un "travestito", di Antonietta De Lillo. Dunque una storia ambientata nella sala buia di un cinema a luci rosse, dominata dal travestito Maruzzella in grado di fare pratiche sessuali misteriose, alchimie culinarie più che altro ed ombre cinesi che trasmettono l’estasi. Centro d’attrazione del locale, Maruzzella, disillusa dall’amore incontra una strana spettatrice che piange alla vista delle pratiche porno più basse.
E la scena hard si trasforma in una carta di cioccolatini lucente e una spiaggia dove Maruzzella e la spettatrice danno un finale coi fiori d’arancio alla celebre frase di Billy Wilder “nessuno è perfetto”. Il finale fiabesco inganna ma subito si ricollega alle "mascherate" di Maruzzella, lontano mille miglia dal riconciliarsi e piuttosto dirottato verso una vita in cui possa riconquistare quei piaceri che generosamente elargiva nel retro del cinema. L'episodio di Capuano “Sofialorèn” si tuffa a pesce nel fiabesco, strizzando l’occhio a maestri come Totò e Pasolini, ma forse anche alle colorate fiabe hollywoodiane di metà secolo con leggerezza poetica, velocità di pensiero e allo stesso tempo profondità passionale, come nell'intenso incontro fra il protagonista un abitante abusivo e recidivo delle aree bradisismiche di Pozzuoli e un ladruncolo dall’aspetto tipicamente "Pasoliniano". Oppure nel travolgente inseguimento del principe, una figura burattinesca di moro, chiaro omaggio a Totò o come nella tenera storia della principessa africana - polipo, tenuta amorevolmente in una tinozza dal pescatore di Pozzuoli. Infatti “Sofialorèn” è il nome che il pescatore che abita nel rione di Pozzuoli, in una casupola giudicata più volte non agibile, dà al suo bel pesce conservato in una vaschetta di vetro. “Il diavolo nella bottiglia” di Incerti è incentrato sul rapporto uomo - diavolo. Fausto, e già il nome la dice tutta, è un barbone che entra in possesso di una diabolica bottiglietta grazie alla quale potrà esaudire tre desideri, con una sola precauzione: per evitare tremende disgrazie ci si deve sbarazzare della bottiglia vendendola ad un prezzo inferiore a quello di acquisto.
E’ la bottiglia misteriosa a dare l’opportunità al barbone “vesuviano” di riscattarsi dalla miseria. Il diavolo meglio del sindaco? “Ma voi non sapete quanti problemi devo affrontare “si lamenta, appunto, il sindaco, nell’episodio di Martone, mentre sale faticosamente le pendici del vulcano. Un finale pungente, amaro, ma affettuoso: “La salita”, nello stile di Martone, che allunga la sua memoria cinematografica da Pasolini a Rossellini. Incontri fantasma del primo cittadino oppresso da una città che implode. I morti di Secondigliano fanno capolino da un dirupo e il sindaco promette che farà di tutto per tirarli fuori, il cantante popolare cooptato dagli intellettuali di sinistra, che implora il sindaco di firmare una delibera per l’annullamento dei concerti, un libro raccolto tra la polvere: “Stato e rivoluzione” di Lenin, una prostituta malinconica, l’attrice popolare dell’avanguardia tornata dall’America. E lo spettro in abito di Francesca Spada che si suicidò, dopo essere stata oggetto di lapidazione politica dall’apparato del P.C.I, in quanto moglie di un funzionario dissidente.
Così finisce “I vesuviani”, con un sindaco che deve rispondere a un oceano di voci di protesta, accusato di dare retta ai media, ma che almeno sa ascoltare. Martone, ne “La salita”, ha scelto il sindaco di Napoli come esempio dell'ex comunista divenuto governante, un amaro dispensatore di promesse difficili da mantenere, assediato dal passato ideologico e dal doloroso senso di colpa che nasce dal ripudiarlo ogni giorno, logorato e spaventato dalle proprie impotenze. Martone, che affronta di petto la nuova realtà politica napoletana e accompagna il sindaco (il riferimento è proprio ad Antonio Bassolino!) in una surreale passeggiata lungo l'impervio crinale del Vesuvio. C'è spazio per vari personaggi di simbolica napoletaneità e situazioni emblematiche come quella del cantiere di lavoratori minorenni (sempre troppo lontano per potervi intervenire), ma l'incontro più significativo è quello con il corvo pasoliniano di Uccellacci e uccellini.
Fra le righe si potrebbe intravedere anche un omaggio al mito e alla storia non solo di Napoli: Pappi Corsicato parla delle Amazzoni, Antonietta De Lillo tratteggia il mito dell’ermafrodito, Antonio Capuano fa rivivere l'avventura di Ulisse che si lascia incantare dalle sirene, Stefano Incerti ripropone il mito di Faust, mentre Mario Martone segue le vicende legate al potere umano. Ma tutto sommato mi sembra che questi riferimenti non siano del tutto fondamentali, rispetto al fatto che cinque registi napoletani quasi tutti giovani si siano uniti per raccontare la loro città attraverso fiabe, sogni, immaginazioni fantasiose. Visioni reali … visioni vesuviane!
by Mariano Lizzadro

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