19.11.06

Casualità non casuale: la relazione che cura in “Confidenze troppo intime” di Patrice Leconte

[pellicole -4]
Questo breve scritto è costruito mettendo insieme vari pezzi sparsi apparsi su internet, in modo da formare un collage per descrivere questo film che ho trovato davvero molto bello. Raffinato e intellettuale, ironico e colto, lieve e romantico, l’ultimo film di Patrice Leconte, Confidenze troppo intime, coglie nel segno, nonostante la complessità del tema affrontato. Come spesso nella vita, è la casualità (o come direbbe Jung la sincronicità) a determinare i percorsi esistenziali: una giovane donna sbaglia porta e confida i segreti coniugali più intimi a un commercialista invece che all’analista presso cui aveva preso appuntamento. Tra i due si instaura fin da subito una complicità profonda (transfert e controtransfert direbbero gli psicoanalisti) più semplicemente è una relazione dovuta alle rispettive e speculari solitudini. Il dialogo intimo che si produce riporta entrambi alla vita, divenuta mera sopravvivenza. L’autentico analista non manca di aiutare e sostenere William nella parte di improvvisato terapeuta, elargendogli consigli non senza il dovuto tornaconto economico. Confidenze troppo intime è un film sull’incontro umano tra paziente e psicoterapeuta. Il film parla della solitudine dei tempi moderni, solitudine che si annida nelle nostre case. Una solitudine tanto esasperata da farci accettare l’inaccettabile, pur di avere l’illusione di una presenza al nostro fianco. Parla della solitudine di chi fra noi si difende lavorando sempre, anche la domenica, per far passare il tempo, per non accorgersi del silenzio che si è fatto attorno. Parla del bisogno che abbiamo di comunicare, anche a pagamento, per sentirci finalmente ascoltati e compresi e amati. Parla del miracolo della psicoterapia che si compie in virtù delle parole e della relazione, che guarisce e sana le ferite anche più remote. Il tutto però con leggerezza sublime e senza scarti. Il film mantiene una tensione costante, dall’inizio alla fine, senza picchi e senza avvalli. Lo spettatore è preso dolcemente per mano nel ruolo classico di voyeur e ascolta e guarda. E impara che non è mai troppo tardi per amare. Che le parole tutte hanno un peso. Che c’è sempre posto e tempo per scelte anche radicali ma sane e felici. Che la vita è bella. Anna, avendo sbagliato porta, finisce per raccontare i suoi problemi matrimoniali a un consulente finanziario, William Faber. Colpito dal suo stato d’animo e anche un po’ intrigato, Faber non ha il coraggio di rivelare ad Anna che in realtà non è uno psichiatra. Incontro dopo incontro, si instaura tra di loro uno strano rituale, una relazione terapeutica. William è colpito dalla giovane donna e ascolta rapito i segreti che gli altri uomini non conosceranno mai. E Anna chi è veramente? Ed è possibile che non si sia accorta di nulla?Lo strano rapporto tra i due continua ad evolversi. Anna e William cominciano a mettere in discussione tutto, le loro vite, le persone che amano. Ognuno, grazie all’altro, guarda alla propria vita con uno sguardo diverso, senza avere alcuna idea di cosa succederà… una stanza in penombra, due personaggi ermetici e opposti, la casualità, per nulla casuale come direbbe Jung, all’opera: parole in libertà vigilata, sonori silenzi, tensioni serpeggianti, tracce di un’attrazione destinata a trasformarsi in qualcosa di meno provvisorio. Dopo una prima parte giocata con scioltezza e fulgore visivo, bellissimo il prologo, coi titoli di testa che si succedono su uno sfondo astratto destinato a rivelare solo alla fine la propria vera natura. Titoli di testa sul vetro screziato di una porta-finestra, piedi femminili in soffice movimento sul selciato: la prima inquadratura azzarda la sintesi disegnando la linea di un incrocio umano che dimostra la storia e la trama prima di mostrare volti, gesti, animi. Il regista rinchiude il film in una situazione di partenza e pare buttar via la chiave: donna disperata scambia fiscalista per psicoterapeuta, incontro tra due solitudini, interazione e conoscenza, incastro perfetto, nascita di “qualcosa”. William Faber, consulente finanziario mite, timido e impacciato, che ha ereditato studio e professione dal padre ed è sempre vissuto in una grigia e metodica quotidianità a contatto con un’anziana segretaria che lo tratta quasi come un figlio, nel tardo pomeriggio di un giorno come tanti, quando la segretaria ha già terminato il suo turno, riceve la visita di una giovane donna attraente che lo implora di riceverla anche senza appuntamento. Anna inizia a confidargli particolari intimi e personali di una tormentata relazione coniugale con un uomo che soffoca ogni suo slancio vitale ma di cui tuttavia è innamorata. Solo quando la donna fissa un appuntamento per alcune sedute terapeutiche, William si accorge del malinteso. Anna ha suonato alla porta del suo studio invece di recarsi dallo psicoterapeuta che esercita sul suo stesso pianerottolo. L’uomo non riesce subito a dissipare l’equivoco, anche perché intimamente non vuole chiarire il malinteso, sentendosi attratto dalla bella e fragile Anna e temendo inconsciamente di perdere ogni sua traccia. William a sua volta si confida con la ex moglie Jeanne, che ha una relazione con uno strafottente salutista pur continuando a frequentare William perché prova per lui un tenero e malcelato affetto. William si ripromette di chiarire l’equivoco in occasione del successivo appuntamento con la giovane donna, ma la sua innata gentilezza e l’intimo timore di non rivederla mai più prolungano il malinteso. Fino a quando la settimana successiva, telefonando allo studio dello psicanalista, la donna si accorge dello sbaglio e si ripresenta dal sempre più stralunato fiscalista per sbattergli in faccia tutto il suo doloroso disappunto. Ma anche Anna si sente attratta da William, dalla sua naturale disponibilità e pazienza, dalla sua innata capacità di ascoltare. Allora ritorna sui suoi timidi e incerti passi e la bizzarra coppia continua a intessere in un’eccitante quanto pudica clandestinità un rapporto intriso di rivelazioni sempre più intime. Mite e gentile, William riceve Anna ogni volta senza appuntamento, suscitando il seccato disappunto della segretaria, che disapprova in silenzio le visite di quella misteriosa signora. Da questo esile ma al contempo intrigante spunto si dipana una storia delicata e a tratti inverosimile, dove i due protagonisti mettono a nudo se stessi, facendo emergere a poco a poco ogni nascosta piega della loro intimità, ogni debolezza, ogni malcelata fragilità. Gradatamente l’incontro assume proprio i connotati di una costruttiva seduta psicoterapeutica, nel corso della quale ciascuno aiuta l’altro a superare i propri conflitti e a far luce sulla propria triste realtà. Patrice Leconte ci propone l’incontro tra due anime, due sguardi, due mondi lontani eppure in perpetua ricerca l’uno dell’altro. Due opposti che si attraggono, si cercano, si sondano, si compensano. Fino allo scontato ma inevitabile epilogo. Nella trama del film emergono significative figure di contorno dalla connotazione emblematica: la portinaia impicciona che giudica con lo sguardo il suo prossimo tra una puntata e l’altra di una soap televisiva che divora con gli occhi e con la mente, lo psichiatra che analizza William mentre gli elargisce consigli a pagamento e una segretaria affettuosa ma un po’ troppo invadente. I due protagonisti raggiungono una sfera d’intimità reciproca priva di falsità e d’ipocrisia. Anna inizialmente si sente come violentata da un estraneo che per sbaglio conosce ogni suo più intimo segreto, sebbene William non la sfiori neppure una volta e mantenga le distanze con formale ma non affettata cortesia. Ma poi è Anna a violentare l’esistenza di William, fragile e vulnerabile come i vecchi giocattoli che conserva con cura quasi maniacale. Mette a nudo i limiti e le debolezze di un uomo che si aggrappa ad un passato di perdute certezze, spronandolo a dare una svolta definitiva e coraggiosa alla sua grigia e anonima esistenza, a “tagliare il cordone ombelicale” che lo tiene legato ad un vissuto di statici e sterili ricordi, per creare il vitale substrato su cui costruire il presente e proiettarsi nel futuro.
by Mariano Lizzadro

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