21.9.07

Tra passato e presente: lirismo, poesia e surrealismo nel cinema di Jia Zhang Ke

[pellicole -21]
(a tutti i cinefili discreti e silenziosi)
Jia Zhang-Ke è un esponente attivo del cinema indipendente cinese. Nato nel 1970 a Fengyang, una piccola città della provincia dello Shanxi a diciotto anni intraprende studi di pittura e si interessa alla letteratura scrivendo il suo primo romanzo nel 1991. Due anni dopo entra all’accademia di cinema di Pechino dove si laurea. Nel 1995 fonda il gruppo cinematografico sperimentale giovanile: la prima organizzazione indipendente del genere in Cina. L’esordio per questo giovane cineasta avviene con diversi film che trattano dell’urbanizzazione della Cina settentrionale e continua poi con “Il mondo” del 2004 che si occupa invece della vita in un megalitico parco divertimento tematico a Pechino. Per girare il mondo non servono tempo e soldi.
È tutto bello e pronto alla periferia di Pechino: in scala ridotta ci sono la tour Eiffel le Piramidi il Taj Mahal. “Il Mondo” è un mastodontico parco di divertimenti tematico in cui migliaia di ragazzi e ragazze ci lavorano tra attori guardiani e umanità varia. Vivono insieme nel Mondo, lì nascono e muoiono amori gelosie speranze. Questo film è una riflessione profonda sull’alienazione umana in una metropoli impazzita come Pechino. E’ lo sguardo di Jia Zhang-Ke che si posa su un luogo non-luogo che sarebbe una perfetta ambientazione per un epopea del post moderno. Nel 2006 è la volta di “Still life”, letteralmente natura morta, che vince il Leone d’oro alla mostra cinematografica di Venezia. “Still life” mostra la Cina moderna con i suoi cambiamenti, la sua povertà, lo sviluppo economico che ha toccato solo marginalmente le classi più povere, per esempio tutti ora hanno il cellulare, ma non tutti possono permettersi una vita dignitosa. L’incipit di questo meraviglioso film è dato da una carrellata di visi solcati dalla fatica e da inquadrature di corpi abbrutiti dal lavoro e dalle privazioni. Questo film narra delle storie di Han Sanming, un minatore dello Shanxi, che si reca a Fengjie in cerca della ex moglie che non vede da sedici anni e dell'infermiera Shen Hong, alla ricerca del marito che non torna a casa da due anni. Queste storie servono ad analizzare l'impatto che la costruzione della diga delle Tre Gole ha avuto sulla popolazione del vecchio villaggio di Fengjie, in parte già sommerso, anche se entrambi sono alla ricerca di una persona cara, le loro vite e la loro ricerca sono profondamente diverse. Gli oggetti inanimati, appunto gli “still life”, che caratterizzano i capitoli in cui è diviso il film, simboleggiano la possibilità di socializzazione con le altre persone ed evidenziano come Han Sanming venga emarginato e vengano rifiutati i liquori e le sigarette che lui offre, mentre Shen Hong, non offre nulla agli altri ma tiene per sé il the che ha trovato. L'integrazione di Han avverrà attraverso il dono di una caramella e da quel momento troverà una grande solidarietà tra i suoi compagni di lavoro, tanto che andrà via con loro, mentre alla fine Sheng andrà via sola. I due protagonisti potrebbero rappresentare anche i due aspetti della nuova Cina: quella che rimane ancorata al passato, che sarà sommersa come lo è stata la città, e il presente di chi come Shen si lascia tutto alle spalle. Spiazzano, in un film così ancorato alla realtà da sembrare quasi uno studio socio-etnografico, gli elementi extraterrestri e surreali che ogni tanto compaiono nel film. Dunque due tristi storie d’amore e lontananza. Nel villaggio di Fengjie, luogo desolato e sommerso dall’acqua a causa della costruzione della diga delle Tre Gole, Han Sanming è un uomo che giunge con l’obiettivo di ritrovare la moglie e la figlia ma si ritrova a lavorare come demolitore per potersi permettere il soggiorno. Shen Hong invece è un’infermiera alla ricerca del marito che fa l’ingegnere a Fengjie e che non vede da due anni e sul quale scoprirà verità poco piacevoli che la porteranno a un’importante scelta di vita. “Still life” narra di due storie d’amore con uno stile essenziale e minimalista che fa da contrappunto a uno spaccato sulla realtà sociale della Cina odierna. In questo scenario arido, ritratto dal regista con timore e sentita partecipazione attraverso una macchina da presa delicata e spesso immobile, si consumano queste due storie sommesse, sussurrate e silenziose. La telecamera segue il tono emotivo della vicenda, accordandosi ai sentimenti dei due protagonisti che non urlano il proprio dolore. L’impressione che deriva da queste immagini liriche poetiche e surreali è di commossa partecipazione che, insieme all’acqua che ha sommerso il villaggio di Fengjie, pare aver investito il cuore dei suoi abitanti e dei due visitatori. Il vecchio villaggio di Fengjie, é stato abbandonato perchè al centro di un territorio dove é stata costruita un'immensa diga ed è completamente sommerso dall’acqua. Un minatore ritorna al suo vecchio paese in cerca dell'ex moglie e quando s'incontrano decidono di risposarsi. Shen Hong, un'infermiera torna a Fengjie per cercare il marito che non si fa vedere da due anni, ma, dopo aver ballato insieme decide di lasciarlo e gli chiede il divorzio. Han Sanming compie in nave tutto il viaggio dallo Shanxi fino a Fengjie con il solo scopo di ritrovare la figlia che non ha mai visto. L’unico indizio che ha è un pacchetto di sigarette con scritto l’indirizzo della sua ex moglie. Comincia così il suo peregrinare per la città. Shen Hong invece con l’aiuto di un vecchio amico del marito riuscirà a rivedere lo stesso e ad annunciargli la propria decisione a proposito del loro matrimonio. Han scopre che la via dove abitava la moglie è stata sommersa dall’acqua nella prima fase di costruzione della diga. Quindi in attesa di trovare moglie e figlia, inizia a lavorare come demolitore insieme ad altri operai che fanno letteralmente a pezzi quegli edifici che sono stati sfollati perchè saranno sommersi dalle acque imprigionate dalla mastodontica diga. Shen scopre gli altarini del marito, ingegnere a capo del progetto di demolizione della parte della città che verrà sommersa ha una relazione con un’altra donna. Come nelle scatole cinesi viene fuori che Han è stato abbandonato da una moglie che aveva comprato per 3000 yuan, dopo essere stato scoperto dalle autorità. In Cina infatti, specialmente nelle regioni povere, le donne in eccesso vengono vendute al migliore offerente. Nonostante ciò Han è un marito di molto migliore rispetto a quello di Shen e il finale della sua storia renderà giustizia alla sua bontà. Il marito illegittimo ma buono viene perdonato, il marito leggittimo ma fedifrago viene punito. Quello di “Still life” è un cinema fatto di silenzi e commossa partecipazione al dramma di queste persone filmate e narrate: sembrerebbe quasi che nello stesso modo in cui la città è stata sommersa dall’acqua, così anche il calore dei suoi abitanti è stato ricoperto da strati e strati di progresso. La critica è sottile e quasi sussurrata, niente a che vedere con urla ed insulti, la vicenda si dipana sullo sfondo di due storie d’amore. Le scene che mi si sono impresse come fotografie nella mente sono: Shen Hong pensierosa che volge lo sguardo verso lo stupendo panorama delle Tre Gole deturpato da una torre in cemento armato e d’improvviso quasi come a rispondere ai desideri della ragazza, l’orribile torre decolla come farebbe un’astronave restituendo agli occhi ed all’anima lo splendido panorama, e quella di Han Sanming che conclusa la sua ricerca, sta per tornare alla miniere della natia Shanxi e sullo sfondo un operaio equilibrista passa da un edificio in demolizione all’altro camminando su un filo sospeso nel vuoto. Quest’ultima è una potente immagine-metafora della Cina di oggi, paese che sta in equilibrio tra antico e moderno, tra conservazione del paesaggio e sviluppo tecnologico. Proprio come un equilibrista, il confine tra il restare in equilibrio e il cadere è molto labile. Come mostra il film, sulla stampa di alcune banconote vi è da una parte l'immagine di Mao e dall'altra quella delle Tre Gole. Per realizzare l'immensa opera è necessario sommergere la città di Fengjie. La fine di questo luogo è vista con gli occhi di due persone entrambe alla ricerca del partner e mostra in effetti l’altra faccia del miracolo economico: la diga sommergerà una zona tanto bella da finire anche sulla carta di una banconota. Questo film racconta di un’umanità che non immagina nemmeno lontanamente l’esistenza del “diritto alla felicità”, con una commozione ed un lirismo che tocca i vertici della poesia per immagini ed ove non mancano tocchi di surrealismo come ad esempio l’uomo nella valigia o il disco volante.

by Mariano Lizzadro

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3.9.07

La poesia ironica, autoironica, intima e teatrale di Rita Bonomo

[letteratura -4]
Le parole che sorgono sanno di noi ciò
che noi ignoriamo di loro - René Char
Se la poesia ha la possibilità, come l'inconscio, di "dire" l'indicibile, la poesia di Rita Bonomo, rianimata dal processo creativo, riesce a trasformare le tracce balbettanti e primordiali della parola in suggestiva e intensa forza lirica e poetica.
Dìri dìri danna è una silloge bella, che si gioca tutto sul filo della memoria attraverso i ricordi, quelli dell’infanzia, come luogo assoluto, senza tempo, luogo di transito, in cui non si può sostare, ma tornare sempre.


E’ un nastro magnetico già inciso
-chiamalo vissuto-
che si svolge e riavvolge
al comando di mezzo tasto
memoria in forma bemolle
-in grave baritonia-
e assenza di corde vocali
disimparate a ritmo di dap

(ricordo che implodevo fino all’orlo
scordandomi di respirare)

Guarirò mai da tutto ciò
che ho sentito?
Forse con un otorino
che mi sussurra all’orecchio
e una gatta che ripartorisce
tutti i gatti miagolanti che hai ucciso.
(p. 49)

E così, l’autrice s'inventa il proprio passato nel racconto, rivelando e disvelando, mettendo in scena, sul grande palcoscenico della vita, il noto e l’ignoto, attraverso un poemetto teatrale a più voci.

Sono la grande accerchiata cieca
Mi disseppellisco spuria marionetta-
mi contemplo nella cerchia e
con benedetta boria mi distinguo
-eccello, per aborigeno ingegno!
(p.35)

La forma “teatrale” e drammaturgica dell’opera, caratterizzata da un prologo e un epilogo, le voci interiori e fuori campo, gli intermezzi e il coro, aiutano ad organizzare e riorganizzare la memoria, che permette di esprimere emozioni, conferendole senso e trasformandole da astratte, ignote e talvolta "terrorizzanti" sensazioni, in nominabili e controllabili immagini mentali.
Sono tanti i fattori di bellezza di questo libro, edito lo scorso anno dalla casa editrice “Libero di scrivere”: la scelta originale del titolo, il gioco ironico e disincantato della lingua che alleggerisce e sfuma i contorni e i toni del dire, la struttura estremamente progettuale e teatrale che utilizza il metodo dei travestimenti e della satira per ribaltare forme, ruoli e gerarchie della normalità quotidiana.
Il titolo “diri diri danna” richiama alla mente una litania, di quelle che si cantilenavano ai bambini per distrarli o per attirarne l' l’attenzione; si trattava di un canto reso monotono dal ritorno ossessivo sulla stessa frase melodica e sul medesimo grado tonale.

“una nenia insolita, di mnemonica etnia,
presa, all’ora dei pasti, per bocca.
Un altro imbroglio liquido da ingoiare”
(p.12)


E ancora, sempre nel prologo per tre voci in cui compaiono una bimba, un vecchio e una ricamatrice:

Vecchio:
Fa presto
Un cucchiaio a me –suona la lira-
Un cucchiaio a te –riottosa zampognino-
Che t’accolga, l’ultimo orchestrante sull’altro
dondolante d’un confortante abbraccio
-con riverenza arcuata-

Ecco questa la bacchetta che scandisce
-amorevole- il lento dìri dìri danna
Orchestrandone dell’appetito il suono
Ed è filo armonico che conduce alla musica degli angeli.

Su, fa’ presto che dopo pranzo
si gioca tutti per davvero
e se ti andasse di traverso
hai il permesso di rigurgitare.
(p.19)

Il verso ludico-drammatico in cui si agita la parola di Rita Bonomo, rende il suo linguaggio poetico vivace e godibile, seppure a tratti complesso e difficile. Una poesia ironica e amara “-Udite, udite! Non è un’acrobata, è una femmina da salvare!”, in cui l’autrice non si risparmia e si rivela in tutta la nudità del privato, dell’essere” infante” e “figlia”.
Una poesia che muovendosi nella complessa grammatica dell'inconscio, dice la verità e al tempo stesso cerca la verità, articolando suoni ed esperienze, che da balbettanti diventano comunicazione riconosciuta e riconoscibile.

E sono la tua gola respirata
sono il mio, il suo, e senza voce mai sopito
un latrato, un afono ruggito,
un alfabeto morso, imparato a menadito
(p.39)

Consapevolezze, interrogativi, risposte. Finzione teatrale e rappresentazione dei propri desideri e proiezioni, tutto in un tono che cresce pian piano, fino a divenire “nervo scoperto”, elegia commovente e toccante nel IV Comandamento, la cosìddetta “grande coriandolata”.

Il mio cielo è tronco d’ali e reti
eppure impigliata –resta- questa genia
(p.66)

e proprio qui, rivolgendosi a uno degli interlocutori cardini del libro, la figura del padre, ci lascia questi toccati versi di “assoluzione annunciata”

Non oso più filtrarmi la bocca nella pronuncia
del nome tuo né oso scialacquare neppure
una quantità minima di battiti
nello scandire le consonanti
appartenuteci

Chè la tua etichetta non oso staccarmi
dal polso e dal naso e dal ciglio arrugginito
oltre tutti questi anni ciechi di te e
della tua buccia –vuota di me- ad acclamarmi
finalmente affrancata

Eccola infine l’assoluzione annunciata
(p.77)

Poi, prima che il sipario si chiuda, il Corale, con le suggestive scene da un funerale: la catarsi e il distacco sotto una fiumara di coriandoli che cade dall’alto. Infine il sipario in “castagno/ d’arte poverissima”, un ultimo abbraccio, una quietanza liberatoria. La leggerezza della finzione teatrale contro l'angoscia della verità, in bilico tra commedia e tragedia, tra realtà e finzione.
Questo libro è il tentativo di stare dentro un’esperienza, che quando torna ad affacciarsi è un’esperienza senza esperienza, una porta da socchiudere e aprire, dove imparare a convivere con luci e ombre che provengono dal di dentro.

E chi di noi non ha, come in dìri dìri danna, una porta chiusa stretta, che all’improvviso si spalanca?

Rita Bonomo, dìri dìri dànna - litania stolta del diritto e rovescio - Collana Libero di stile - Liberodiscrivere ® Edizioni Genova - € 10,00

by Maria Pina Ciancio

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